lunedì 4 luglio 2011

Marco Cavallo


Vi porto una storia interessante tratta dal sito DSM trieste...il perchè? beh leggendo ognuno ne troverà uno...

Quando il cavallo acquistò la sua forma definitiva era enorme e bello. Tinta guardava affascinato ed incredulo. Nessuno osava toccare il cavallo, solo Vittorio lavorava ogni giorno per rifinirlo e Tinta era con lui a passargli gli strumenti.Nessuno, prima di allora, aveva mai conosciuto Tinta. Era rinchiuso nel reparto «C», il reparto più brutto e orrendo del manicomio, esclusione nell'esclusione. Aveva venti anni, tutti passati negli istituti.Era nato alla fine dell'occupazione alleata, a Trieste. A malapena gli avevano insegnato a scrivere il suo nome e, malgrado i suoi occhi attenti e vivaci, era stato condannato ad essere un deficiente.
Durante i due mesi di festa intorno al cavallo anche il reparto «C», col suo carico di relitti, partecipava quotidianamente.
Tinta desiderava avere un orologio, dormire nella pancia del cavallo e avere la possibilità di uscire dal manicomio. Più che tutto un orologio, intanto, per poter tornare in orario.
La pancia del cavallo diventò la pancia dei desideri e il suo colore fu l'azzurro.
Marco Cavallo, il cavallo azzurro. E Tinta ebbe il suo orologio, dormì nella pancia del cavallo e fu libero.
Dopo quei giorni di festa andò a vivere in un altro reparto. Fu tra i primi a lasciare il reparto «C» che oggi (1976) non esiste più.
Ogni giorno usciva. Andava a trovare sua mamma in una squallida e minuscola soffitta in Cittavecchia. Spesso, a casa, non trovava nessuno e allora girava senza meta per la città accontentandosi di guardare ogni cosa. Imparò presto a girare per ogni strada. In Piazza Grande si divertiva a rincorrere i colombi.
Andava ai grandi magazzini Upim a vedere gli orologi. Spesso, la tentazione era troppo forte, cercava di prenderne uno e non aveva i soldi per pagare. Qualche volta cedeva alla tentazione. Tornava felice col suo orologio, gli occhi furbi. Trovava mille scuse per dare ad intendere che lo aveva comperato.
Fabio e Francesca, due studenti che lavoravano in ospedale, erano spesso con lui, erano suoi amici. Tinta era ospite frequente in casa di Fabio o di Francesca, passava molte ore con loro: era preferibile che non uscisse sempre da solo. Un giorno, in un supermercato, rubò un uovo di Pasqua. Fu scoperto e denunciato. Il giudice lo condannò: manicomio giudiziario. Tinta, lontano da Trieste, non poteva più uscire, di nuovo chiuso, senza più orologi. Si comportò molto bene e, dopo otto mesi, i medici e il giudice del manicomio giudiziario di Castiglione delle Stiviere dissero che poteva ritornare al manicomio di Trieste. Tinta tornò e, più felice che mai, ricominciò ad uscire. Questa volta cercava di essere attento e giudizioso.
Domenica 26 dicembre 1976, mentre, allegro come al solito, andava a casa da sua madre, un grosso camion con rimorchio lo ha schiacciato.

1973. MARCO CAVALLO
Marco Cavallo è una macchina teatrale. I matti non lo hanno costruito materialmente, non lo hanno mai toccato. Mentre cresceva la sua struttura in legno, mentre prendeva forma la cartapesta, mentre si plasmava la testa, i matti hanno costruito, senza mai toccare il cavallo, ripeto, qualcosa di più duraturo, di più indefinito. Il colore azzurro. La pancia piena di desideri, dall'orologio di Tinta al porto con le navi della giovinezza di Ondina, dalle tante Marie all'immancabile «fiasco de vin», dalla casa alle scarpe, al volo, al viaggio, alla corsa, all'amico, alla libertà.
La libertà: i muri del manicomio frantumati, la teoria infinita di matti che, dietro al cavallo, esce dalla breccia e si perde per le vie della città. Boris accompagna il corteo suonando la fisarmonica. I nemici, la lotta ai nemici, a chi vuole chiudere la breccia, a chi vuole ricacciare nel recinto, nell'ordine fermo e servo, chi finalmente comincia a camminare, a scoprire che ha le gambe. Marco Cavallo in testa, in prima fila. Era una limpida domenica di marzo, pulita dalla bora quando, Marco Cavallo tentò di uscire dal laboratorio. Era troppo grande, appesantito dal carico di bisogni, desideri che si portava dentro. Le porte erano strette, provò la porta del giardino, poi la veranda, pensando di saltare la ringhiera. Cercò di piegarsi, di mettersi di taglio, si abbassò, pancia a terra, si ferì. Niente. Restava chiuso dentro. Tutti erano lì a guardarlo: era quello il suo momento. Cominciò a correre nervoso per il lungo corridoio del vecchio reparto «P» trasformato in laboratorio, avanti e indietro, proprio come avevano fatto per anni i malati che lo avevano abitato. Giuliano cercò di calmarlo, dicendo che bisognava aspettare, che forse non era quello il momento, che bisognava avere pazienza. I malati cominciarono a pensare di avere solo sognato, secoli di grigio tornarono nelle loro teste, urla disumane assordarono le loro orecchie. Dino Tinta piangeva. Marco Cavallo, fremendo, testa bassa, cominciò una corsa furibonda, come impazzito, verso la porta principale e, senza più esitazione, oramai a gran carriera, aggredì quel pezzo di azzurro e di verde oltre la porta.
Saltarono gli infissi, i vetri. Caddero calcinacci e mattoni. Marco Cavallo arrestò la sua corsa nel prato, tra gli alberi, ferito e ansimante, confuso all'azzurro del cielo. Gli applausi, gli evviva, i pianti, la gioia guarirono in un baleno le sue ferite. Il muro, il primo muro era saltato.
La prima grande uscita in città, paradossalmente trionfale. Poi, così come era destino, in giro per il mondo. La carica simbolica, certo, l'hanno costruita i matti.
A quattro anni di distanza, tanti desideri, ansie, aspirazioni, si sono realizzati. Altri, vecchi e nuovi, irrealizzati, sono drammaticamente presenti. Tanti costruttori del cavallo non ci sono più, tanti sono fuori.
La breccia si è allargata a dismisura da cancellare il manicomio stesso. Boris vive in un appartamento del parco dell'ospedale con Valeria. Nella sua casa continua a dipingere e a suonare. Il cavallo c'è ancora, anzi il simbolo, il significato, ciò che è resta e cresce. Non occorre più oggi spiegare cosa sia questo gigantesco cavallo azzurro, dovunque va, nelle scuole coi bambini, al festival nazionale dell'Unità, in giro per le mostre, le fiere, i mercati, oggi è una grande macchina teatrale. Il cavallo azzurro è il suo stesso significato. Sabato, prima della grande uscita, in manicomio una grande animazione accompagna i preparativi; ci sono i giornalisti, la televisione e molti cittadini incuriositi con la voglia di partecipare. Tra gli altri alcuni componenti il comitato di quartiere di San Vito - Cittavecchia con i quali avevamo in precedenza pensato e organizzato l'uscita. Il cavallo concluderà il suo viaggio attraverso la città nella scuola elementare "De Amicis", nel rione di San Vito.
Gli operatori dell'ospedale psichiatrico di fronte all'importanza e all'amplificazione che va assumendo "l'uscita" cominciano ad essere preoccupati per il possibile stravolgimento, l'ambiguità, la confusione che si potrà creare tra la gente e l'uso che potrà farne la stampa.
La paura è che l'uscita festosa, il "simbolo" possa nascondere agli occhi di tutti le difficoltà, le carenze, le miserie, la violenza, l'oppressione, che ancora sono presenti in manicomio e che anzi, con la progressiva apertura, vengono ancora più evidenziate.
Non si vuole che il corteo del cavallo, volutamente e giustamente allusivo, diventi esposizione trionfale, di vetrina si dice, di qualcosa già realizzato. Gli operatori vogliono denunciare invece l'assoluta mancanza di prospettive per chi dovrebbe essere dimesso, andare fuori. Denunciare la totale mancanza di case, di soldi, di lavoro, di strutture territoriali. Gli infermieri vogliono più specificatamente evidenziare le loro disagiate condizioni di lavoro sia sul piano retributivo ché su quello normativo. La pesantezza di una legge vecchia, risale al 1904 la legge sui manicomi, che impedisce una reale pratica di assistenza e di risposta ai bisogni.
A mezzogiorno di sabato un'affollata assemblea al reparto accettazione uomini discute questi temi; la linea che emerge è che l'unica possibilità per porre in primo piano i problemi di tutti è impedire la festa. Questa risoluzione, di fronte all'attesa per la festa tradita, costringerebbe tutti i cittadini, i giornalisti, la direzione e soprattutto gli, amministratori, i politici della città a prenderne atto e porterebbe in primo piano la concretezza della realtà manicomiale che si sta affrontando.
Per tutto il pomeriggio di sabato, in tutto l'ospedale, si susseguono riunioni a piccoli e grandi gruppi, per capire, cercare di trovare soluzioni che accontentino tutti.
In un primo momento gli artisti si sentono aggrediti da questa risoluzione, si oppongono e dichiarano che l'uscita, la festa si farà. La direzione e alcuni medici si schierano con gli artisti per la preoccupazione che un simile gesto possa compromettere a livello politico e amministrativo la prosecuzione del lavoro di trasformazione del manicomio. Si corre il rischio di una grossa spaccatura di tutto il gruppo: medici, artisti, infermieri, degenti, amministratori.
E' con questa preoccupazione, con questa tensione e in questo clima che si inizia nella scuola elementare, nella palestra già approntata per la festa, una riunione tra operatori, artisti e direzione. Dalle dieci della sera si va avanti discutendo, analizzando tutto il lavoro fino a quel momento svolto, le prospettive, con molto nervosismo e molta durezza. Più di una volta durante la notte la rottura del gruppo è cosa fatta. Alle 4 del mattino, non senza fatica, si arriva ad una mediazione.
Il cavallo uscirà, tutti, gli artisti in prima fila, distribuiranno un volantino e spiegheranno le ragioni dell'agitazione, le condizioni di lavoro in manicomio. Prima di andare via si stila il volantino, pulito e chiaro, che accompagnerà Marco Cavallo per la prima volta.

mercoledì 22 luglio 2009

Concorsi in famiglia


Questo collegamento http://www.unibas.it/dapit/docenti.asp?IdDoc=2 porta alla pagina del DAPIT-UNIBAS dove c’è la foto di Saverio OLITA che è il ricercatore del prof. Michele AGOSTINACCHIO direttore del DAPIT indicato sulla medesima pagina, a sinistra. Notare che sempre a sinistra della pagina web del collegamento n. 1 c’ è il nome del professor Maurizio DIOMEDI associato del DAPIT. Si tenga a mente un terzo nome quello del dott. Donato CIAMPA dottore di ricerca di cui il prof. Agostinacchio è stato tutore, oggi Ciampa è un collaboratore (diciamo così) precario del prof. Agostinacchio, sempre al DAPIT. Ciampa non essendo strutturato non è presente sul sito web del DAPIT.

Al seguente indirizzo si può verificare che il prof. Agostinacchio ha pubblicato un lavoro insieme al dott. Ciampa Donato e al ricercatore Saverio OLITA http://www.shopping24.ilsole24ore.com/sh4/catalog/Product.jsp?PRODID=SH246125869

AGOSTINACCHIO, DIOMEDI, CIAMPA e OLITA pubblicano insieme lavori sulle pavimentazioni stradali ed altro vedi anche http://www.archimagazine.com/bookshop/ltciampa2.pdf

IN QUESTA PAGINA WEB http://sed.siiv.it/documenti/63_2850_20080118222835.pdf invece si trova il curriculum dell’ing. Michela AGOSTINACCHIO, nata ad Ancona il 28 marzo 1979. I ben informati dicono che sarebbe la figlia del prof. Michele AGOSTINACCHIO laureata all’università delle Marche e dottore di ricerca al Politecnico di Milano.

I due omonimi padre e figlia pubblicano i loro lavori scientifici con le stesse persone CIAMPA, DIOMEDI, OLITA. Ecco ill curriculim del prof. Michele AGOSTINACCHIO che lo dimostra http://sed.siiv.it/documenti/63_2850_20071222152542.pdf

Sono tutti una sola famiglia.

LA NOTIZIA

L’ing. Michela AGOSTINACCHIO nata ad Ancona il 28 marzo 1979 si trova anche nell’elenco degli ammessi al concorso a n.2 posti da ingegnere-architetto cat. D1 indetto dalla provincia di Potenza.

Dalle Marche alla Basilicata l’ing. Michela, figlia del direttore DAPIT avrà pensato di avere carte buone da potersi giocare nel concorso in Provincia.Effettivamente aveva ragione perchè è riuscita a collocarsi al primo posto della preselezione con un punteggio di 27,50 http://www.provincia.potenza.it/allegati/100409_Elenco_Ammes_Conc_2_Ing_Arch.pdf

Ma la sorpresa più grande che l’amministrazione provinciale di Potenza poteva fare alla giovane ingegnere delle Marche era quella di farle trovare in commissione, pensate un po’, proprio quel Saverio Olita, ricercatore del DAPIT, di cui abbiamo detto sopra che è uno dei più stretti collaboratori del prof. Agostinacchio (Michele) e che ha pubblicato lavori anche con la candidata a un posto alla provincia che egli stesso deve esaminare.

Se si scorre la graduatoria dei candidati al concorso si ritrovano in elenco i nomi di ragazzi lucani, anche dottori di ricerca presso il DAPIT che non hanno la stessa fortuna di essere figli al direttore di dipartimento e che forse dovranno emigrare altrove. Vale dire che i pochi posti che ancora l’ente pubblico locale può mettere a disposizione per trattenere i nostri giovani per queste strane combinazioni del destino sembrano essere destinati ai papabili di altre regioni, preferibilmente con cognomi illustri.

In data 6 e 7 maggio si sono svolte le prove scritte e le prove pratiche

http://www.provincia.potenza.it/allegati/140409_AVVISO%20prove%20scritte%20e%20orali.pdf .

Nei giorni scorsi si è svolto l’orale. Chi avrà vinto secondo voi uno dei due posti a concorso ?

http://www.provincia.potenza.it/allegati/140709_Graduatoria_Finale_Ing-Arch.pdf


Fonte: Lucanianews24

mercoledì 8 luglio 2009

Bandi Agricoli




Dall’esame fatto da Polizia Provinciale e Corpo Forestale su 92 domande di contributo dei bandi «Piccoli investimenti», «Sistemi irrigui», «Filiere produttive» e «Sistemi di qualità» relative a 55 richiedenti «solo quattro pratiche sono risultate in regola con quanto indicato dal bando». Così il Gip di Potenza, Luigi Barrella, accogliendo la richiesta del Pm Anna Gloria Piccininni, ha disposto il sequestro cautelare di fondi per 3 milioni 329mila euro in attesa di essere erogati dall’Ue dopo l’istruttoria fatta dalla Regione.

Gli indagati sono in totale 70 (il dettaglio e a lato) e la Regione non ne esce bene, sia per il dato statistico, sia perchè vede finire nel registro degli indagati 30 suoi dipendenti (tra cui l’attuale direttore generale del dipartimento Sanità, Rocco Rosa, indagato per quando ricopriva analogo incarico all’Agricoltura) sia l’attuale presidente del Consiglio Prospero De Franchi e, a sua volta, ex direttore generale del Dipartimento Agricoltura, che è finito, però, nell’elenco degli indagati non come esponente pubblico, ma come assegnatario die contributi.

Il meccanismo che ha portato i magistrati a configurare ipotesi di reato per concorso in varie ipotesi di falso e truffa, è più o meno lo stesso per tutti i casi. Mancato rispetto dei requisiti del bando e controlli delle pratiche con un occhio chiuso, o forse due. Quanto ai requisiti, i richiedenti dovevano essere «imprenditori agricoli a titolo principale» o «Coltivatori diretti» e doveva avere la disponibilità dei terreni. «Tuttavia - osserva il Gip - benchè le carenze documentali e le falsità emergessero chiaramente dalla documentazione prodotta, ovvero, comunque, fossero agevolmente rilevabili, i funzionari responsabili del procedimento (...) hanno sempre riportato nel verbale informazioni non rispondenti al vero, così consentendo alle imprese richiedenti di accedere al finanziamento in questione, scavalcando gli altri legittimi aspiranti».

Tre le pratiche «dubbie» intestate al presidente De Franchi che, sostiene l’accusa «dichiarava falsamente di essere un imprenditore agricolo dal 27 maggio 1994, pur in mancanza di un’iscrizione Inps nel settore agricolo». In un caso, per un’azienda in contrada Maute di Guardia P., ottenne l’assegnazione di un contributo di 233mila euro col bando «filiere produttive» (ma poi ha rinunciato). In un altro, per un’azienda di Masseria Romana tra Spinoso e Grumento se ne vide assegnare 16.785 col bando «Sistemi Irrigui», e nel terzo, per la stessa azienda, ottenne 50mila euro sul bando «piccoli investimenti». In questi ultimi due casi, a quanto scrive il Gip, nella domanda «dichiarava di condurre un’azienda ad indirizzo zootecnico allegando una copia del registro di stalla con richiesta di registrazione datata 9 maggio 2002) pur essendo stata presentata la domanda in epoca precedente.

Le indagini evidenziano che Prospero «da accertamenti esperiti presso la sede Provinciale e Regionale Inps si evince che il De Franchi non è mai stato iscritto in qualità di imprenditore agricolo e l’unica contribuzione presente riguarda il riscatto della laurea dal 1 novembre 1969 al 31 ottobre 1973. Solo in data 28 dicembre 2007 il De Franchi richiede alla sede Inps di Potenza l’iscrizione quale Imprenditore agricolo a titolo principale». Negli atti del fascicolo si legge anche che De Franchi «all’epoca dei fatti era direttore generale del Dipartimento Agricoltura della Regione Basilicata» e si aggiunge che era anche «fratello di Ottorino M. e di Antonio Sergio, nonché zio di De Franchi Alessandro, tutti percettori di benefici in agricoltura». Nell’inchiesta sono finite pratiche a loro intestate per un ammontare che supera i 300mila euro.

Fonte: La Gazzetta del Mezzogiorno

lunedì 6 luglio 2009

Manager della Sanità ( una volta chiamato dottore...)




Concentriamoci sul significato delle parole, su cosa davvero rappresentano.

Il termine salute o sanità, viene definito dall'OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità), "stato di benessere fisico, mentale e sociale e non la semplice assenza di malattia o infermità, è un diritto umano fondamentale".
Un mezzo più che un fine che consente alle persone di svolgere una vita produttiva a livello individuale, sociale ed economico.

Ripercorrendo la definizione dell'OMS quello che più colpisce: "é un diritto umano fondamentale"...che cozza moltissimo con tutto quello che la sanità davvero rappresenta oggi.

Basta sfogliare i quotidiani e ogni giorno c'è un caso di malasanità, oppure, andare in qualsiasi ospedale o stuttura medica...

Il problema più grande della sanità oggi non è la carenza di strutture o personale, quello magari è una conseguenza, ma la fusione del termine sanità con profitto e denaro.

Questo spinge chi lavora nel campo medico a vedere tutto come un guadagno economico da fare, con i suoi pro e contro, spingendolo a diventare una specie di manager della salute, imprenditori del servizio sanitario...
Prendendo decisioni che con il diritto fondamentale non hanno niente a che fare, chiusura di ospedali, carenza di personale o personale non all'altezza, carenze di strutture...

Perchè alla fine qualcuno deve guadagnare...altrimenti che affare sarebbe..

Molti di questi primari-manager dovrebbero ricordare il giuramento che fanno quando diventano medici, il giuramento a Ippocrate che dice:

Consapevole dell'importanza e della solennità dell'atto che compio e dell'impegno che assumo,

GIURO:

di esercitare la medicina in libertà e indipendenza di giudizio e di comportamento;

di perseguire come scopi esclusivi la difesa della vita, la tutela della salute fisica e psichica dell'uomo e il sollievo della sofferenza, cui ispirerò con responsabilità e costante impegno scientifico, culturale e sociale, ogni mio atto professionale;

di non compiere mai atti idonei a provocare deliberatamente la morte di un paziente;

di attenermi nella mia attività ai principi etici della solidarietà umana, contro i quali, nel rispetto della vita e della persona non utilizzerò mai le mie conoscenze;

di prestare la mia opera con diligenza, perizia e prudenza secondo scienza e
coscienza ed osservando le norme deontologiche che regolano l'esercizio della medicina e quelle giuridiche che non risultino in contrasto con gli scopi della mia professione;

di affidare la mia reputazione esclusivamente alle mie capacità professionali ed alle mie doti morali;

di evitare, anche al di fuori dell'esercizio professionale, ogni atto e comportamento che possano ledere il prestigio e la dignità della professione;

di rispettare i colleghi anche in caso di contrasto di opinioni;

di curare tutti i miei pazienti con eguale scrupolo e impegno indipendentemente dai sentimenti che essi mi ispirano e prescindendo da ogni differenza di razza, religione, nazionalità, condizione sociale e ideologia politica;

di prestare assistenza d'urgenza a qualsiasi infermo che ne abbisogni e di mettermi, in caso di pubblica calamità, a disposizione dell'Autorità competente;

di rispettare e facilitare in ogni caso il diritto del malato alla libera scelta del suo medico tenuto conto che il rapporto tra medico e paziente è fondato sulla fiducia e in ogni caso sul reciproco rispetto;

di osservare il segreto su tutto ciò che mi è confidato, che vedo o che ho veduto, inteso o intuito nell'esercizio della mia professione o in ragione del mio stato.

Dedicato a tutti manager della sanità...in particolare a quelli della Basilicata.

Se qualcuno ha casi di malasanità, lo segnali, mandando una email al blog del senisaro...


giovedì 2 luglio 2009

Crisi al San Carlo



La nota odierna dell’Ugl sulla “grave crisi in cui versa l’Ospedale San Carlo” riprende vecchi e stantii cliché che nel corso degli anni sono regolarmente riciclati e sistematicamente smentiti dai fatti. Ma poiché oltre a rilanciare generiche critiche l’Ugl si assume la responsabilità di diffondere numerose gravi falsità ed inesattezze si rende necessaria una più puntuale rettifica:
1) La diminuzione dei ricoveri ordinari non è affatto un segnale di crisi, anzi è una manifestazione dell’aumento dell’appropriatezza e quindi della qualità del servizio sanitario assicurato. Non è per altro un fenomeno contingente ma il risultato delle scelte strategiche della Regione, che ha ridotto negli ultimi anni di circa 150 unità i posti letto. Così a un trend costante di calo dei ricoveri ordinari corrisponde un aumento significativo delle attività ambulatoriali e di day hospital, con una sostanziale parità dei ricavi e un rilevante aumento del benessere dei pazienti e dei familiari che sono sottoposti a uno stress minore per la durata inferiore delle degenze.
2) “La fuga di professionisti verso altre strutture extraregionali” è circoscritta a pochissimi casi. Si tratta della scelta fisiologica di professionisti a cui è stata offerta una significativa progressione di carriera e che in qualche misura rappresenta un riconoscimento dell’ottimo lavoro svolto per l’azienda e in un singolo caso, che ha avuto ampio risalto sulla stampa, la motivazione è nota e riguarda problemi personali e non scelte professionali. Tutti questi casi, comunque, esulano del tutto dalle scelte e dalle politiche aziendali.
3)”Le corrette relazioni sindacali … praticamente inesistenti” sono il prodotto del rifiuto dell’Ugl di accettare il quadro giuridico e normativo che le definisce. Allo stato dei fatti l’Ugl non ha sottoscritto il contratto collettivo nazionale di lavoro della sanità, che abilita alla negoziazione aziendale, e non è un soggetto rappresentativo. Nelle scorse settimane l’Ugl ha deciso di reiterare, in tre distinti comunicati, una serie di falsità gravemente lesive dell’immagine aziendale. Falsità che peraltro (ad es. la chiusura del Dipartimento di nefro-urologia) erano note allo stesso sindacalista che ha continuato a propalarle anche dopo la smentita ufficiale dell’azienda.

E a questo punto l’unica scelta possibile era di tutelare l’immagine aziendale da affermazioni diffamatorie e pertanto già con una delibera della scorsa settimana si è stabilito di querelare l’Ugl. Circa il clima delle relazioni sindacali, la sua buona qualità è testimoniata dai comunicati delle numerose sigle che nei giorni scorsi, nell’esprimere maggiore o minore apprezzamento come anche formulando critiche e osservazioni nel merito all’atto aziendale, in nessun caso sollevano il problema di eventuali scorrettezze procedurali nel percorso di definizione dell’atto o più in generale sul sistema di relazioni sindacali da parte dell’azienda.
4) A parlare di “eccellenze aziendali” non sono solo le campagne pubblicitarie aziendali ma testate come Class (che dedica un servizio al primario di neurochirurgia) e Panorama (che nella sua rubrica specializzata dedica attenzione a una ricerca sperimentale della nostra cardiologia), i congressi internazionali che ospitano come relatore il primario di Reumatologia, il ministero della Salute che proprio ieri ci ha riconosciuto il bollino rosa come “ospedale a misura di donna”, ecc. ecc. ecc.
5) Non ci sono poi “professionalità accantonate … per mere logiche di appartenenza politica” per la semplice ragione che l’Azienda non solo non vuole ma non può neanche permettersi (essendo strutturalmente sotto organico da oltre un decennio) di accantonare chicchessia. E comunque anche tali affermazioni saranno sottoposte all’attenzione del giudice competente.

Fonte: lucanianews24

mercoledì 1 luglio 2009

Miopia qualunquista



L' evoluzione di una comunità dipende da molti fattori, soprattutto, da un senso comune che sia flessibile e aperto, pronto a buttarsi nel presente e futuro a cavalcare il tempo che vive in assoluta naturalezza.

Le comunità cosi continuano la loro storia, cosi riesco a vivere e a sopravvivere senza incontrare difficoltà, più di ogni altra cosa, senza morire.

Questo è quello che avviene nelle nostre comunità?...
Non credo...anzi...

Se parli di occupazione e dici che esistono raccomandazioni, ti etichettano come qualunquista...

Se dici che chi comanda sono arrivisti e gente che non gli importa nulla di far evolvere un territorio ma soltanto di prendere e arraffare, ti definiscono irrispettoso.

Se parli di risorse non sfruttate, oppure, se a sfruttarle sono solo parti di territorio, per loschi affari, allora ti etichettano come retorico e in malafede.

A volte non è una questione di poca intelligenza ma di miopia...

Miopia qualunquista...cosi muore una comunità.

sabato 27 giugno 2009

Vogliamo la Verità...



A ventinove anni dalla tragedia di Ustica ci ritroviamo a Bologna, attorno ai rappresentanti delle Istituzioni per ricordare, per fare memoria, ma soprattutto per ribadire il bisogno di verità sugli autori, sui responsabili dell'abbattimento di un aereo civile in tempo di pace. I giudici hanno riaperto le indagini, anche dopo le dichiarazioni di Francesco Cossiga, e ora debbono essere messi nelle condizioni di scrivere la pagina definitiva: debbono essere dischiuse tutte le porte, tutte le conoscenze e i tanti "occhi" militari, che, oggettivamente, quella notte, dovevano essere aperti, debbono essere messi a disposizione della Giustizia. Dobbiamo sapere da Paesi amici e alleati cosa hanno visto.
Scrive in questa occasione ai parenti delle vittime il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano: "Sia fatto ogni sforzo perchè le indagini recentemente riaperte permettano di dare adeguata e valida risposta"
Attorno al Museo per la Memoria di Ustica, è nato "Il Giardino della Memoria" , luogo nel quale rappresentiamo quest'anno, a partire dalla sera del 27 giugno, ben 5 eventi teatrali, importanti, belli, ma soprattutto legati all'impegno civile, alla memoria, e alla consapevolezza di voler continuare a chiedere tutti assieme, per la dignità dei cittadini tutti, verità e giustizia.

di Daria Bonfietti

Fonte: Articolo 21


martedì 16 giugno 2009

Inceneritore...alto rischio




L'inceneritore di San Nicola di Melfi è sempre più a rischio, con un aumento dell' inquinamento ambientale sempre maggiore.

A segnalarlo è l'OLA, qui l'articolo, dopo le numerose segnalazioni dei cittadini della zona.

La sospensione dell'attività dell'inceneritore è la prima cosa da fare, per accertare le cause, prima delle possibili, dannose, conseguenze.

Si aspetta risposta da parte degl'organi competenti.

lunedì 15 giugno 2009

"Liberate mio figlio..."


«Sono arrivato al dodicesimo giorno di sciopero della fame. Ho perso 6 chili ed ho le vertigini. Attuerò anche lo sciopero della sete. Ma, dalla Asl di Matera nessun controllo anche se ho segnalato la protesta a Comune, prefettura, Provincia, presidenza della Repubblica. Mi lascerò morire...».

Vuole portare alle estreme conseguenze la sua lotta Giovanni Falcone, padre di Angelo, 29 anni, detenuto, con l’amico Simone Nobili, in un carcere dell’India dal 10 marzo 2007 per una condanna a 10 anni per traffico di stupefacenti. Un’accusa contestata dai due connazionali che hanno parlato di un tranello loro teso dalla polizia indiana. Ora, tra luglio e agosto prossimi, ci sarà l’appello.

Giovanni ha denunciato a più riprese violazioni dei diritti umani e del diritto internazionale nei confronti del figlio. Da qui i suoi appelli ad una soluzione diplomatica del caso resa difficile dalla mancanza di trattati tra Italia ed India.

«Ed Angelo e Simone, per accuse inverosimili - ha concluso il nostro interlocutore - da 26 mesi sono costretti a dormire per terra su una coperta in una cella di due metri e mezzo per lato. E non posso telefonargli da mesi. Si, mi lascerò morire...».

Fonte: gazzetta del mezzogiorno

E le Istituzioni dove sono?

Come sempre avranno altro da fare, invece di aiutare un uomo, un Padre, che vede i diritti di un figlio calpestati senza sapere il perchè...